Caro zio Derno ti scrivo…
Riecheggia nella mia mente la tua voce assonnata che mi chiama dal letto nella tarda mattinata di quei rari giorni festivi che passavi a casa: “Uhmmm che buona una spremuta di arancia fresca… Pisellaaaaa, amore bello… Chiedi a quella cara e dolce e gentile della mia sorella se me la prepara”. Sapevi esattamente che ero dietro la porta per cercare di svegliarti di soprassalto. Ed allora io scendevo velocemente le scale per comunicare in cucina che finalmente lo zio si era svegliato e che voleva del succo di arancia. Mamma e nonna subito in azione, pur sospirando ma subito pronte, poiché si era svegliato quello zio, un po’ divo, che tutti mi invidiavano.
Mi piace immaginarti per le vie del Cairo mentre intrattieni sconosciuti, attratto da un loro particolare, incuriosito forse dalla forma degli occhi di uno di loro, o dalle parole pronunciate da quel signore seduto sugli scalini di fronte a Khan-el-Khalili; ti vedo mentre osservi attentamente i colori delle bancarelle del mercato. Mi piace pensare che tu sia ancora in mezzo al caos della grande metropoli, affascinato dai carretti trainati dagli asini non curanti della velocità delle macchine che scorrono al loro fianco. Mi ricordo di averti addirittura visto appiccicato a quelle vetrine piene di dolcetti al miele, tanto quella città sapeva di te, nonostante tu non fossi più lì. Ti immagino mentre percorri la strada che porta all’oasi di Siwa e sorseggi il tè (whiskey egiziano) con Refaat nel giardino di Senusi.
Caro Zio Derno devo proprio ringraziarti per aver contribuito a lasciare aperta e libera la mia mente, per aver fatto in modo che la bambina che è ancora viva in me riesca sempre ad osservare i particolari e a sorprendersi, spinta da una forte curiosità. Sicuramente questo lato del mio carattere lo devo a te. Ripercorrere alcune delle tue tappe fondamentali ha contribuito a tenere vivo il ricordo ma soprattutto mi ha permesso di avvicinarmi un po’ al tuo mondo e al tuo modo completamente libero di vivere la vita. Spero che quello che ci hai lasciato permetta anche alle nuove generazioni di comprendere la bellezza delle piccole cose, di quella scarpina delle Necropolitanie o di quella gigantografia di tre piccole lumache. Grazie ai tuoi preziosi scatti, che mi hanno accompagnato in tutti questi anni, ogni volto di persona o di animale riesce a suscitarmi un’emozione indescrivibile. Così come l’irresistibile ricerca di un particolare all’interno dei cimiteri monumentali in giro per il mondo: ogni volta spero di trovare qualcosa che forse avrebbe fatto scattare in te un nuovo stimolo.
Adesso, quando riusciamo ad organizzare qualcosa per continuare a farti vivere, ho una nuova immagine di te: sei seduto, immerso nel maestoso silenzio del deserto bianco.
Tamally Ma’ak Habibi.
Silvia Orlandi (La Pisella)
Ingegnere biomedico, dottorata in bioingegneria, attualmente svolge la sua attività di ricerca in Canada presso un importante ospedale pediatrico. Le piace pensare che la passione per i viaggi e l’entusiasmo nel conoscere persone e culture diverse lo abbia ereditato da Derno.
Bruno Casini
Bruno Casini, fiorentino, si occupa di comunicazione e promozione culturale. Laureato in storia del cinema con Pio Baldelli, è stato fra i fondatori della rivista Westuff e ha diretto per oltre 10 anni l’Independent Music Meeting.
Primo manager del gruppo, ha pubblicato “In viaggio con i Litfiba” (ZONA, 2009). Per ZONA ha anche pubblicato “Banana Moon” (2008), Felici e Maledetti”, “Che fine ha fatto Baby Jane?” (2011), “Ribelli nello Spazio” (2013), “Sex and the World” (2015) e “Clubbing For Heroes” (2017. Ha pubblicato anche “1975: viaggio in Afghanistan” (Catcher, 2006) e curato i volumi “Tondelli e la musica” (Baldini e Castoldi, 1994) e “Frequenze Fiorentine” (Arcanapop, 2003).
Il mio viaggio con Derno Ricci
Scoccano i primi anni settanta: frequento spesso una casa molto “freak” in Via dell’Agnolo, centro storico di Firenze, vi abitano tanti amici, sembra una comunità hippy, una comunità rock, una comunità psichedelica, una comunità letteraria. Facciamo tutte le sere tardissimo, a volte scorgiamo le primi luci dell’alba. Leggiamo Tolkien, Castaneda, Ginsberg, Kerouac, Pasolini. Qui in questa casa conosco Derno Ricci, rimango subito affascinato dalla sua grande passione per la vita, per il viaggio, per la musica, per la fotografia, per la letteratura: ascolta in continuazione King Crimson e Rolling Stones e canta a squarciagola tutte le canzoni del gruppo di Mick Jagger. Ecco l’incontro con un amico importante, un amico vero, un amico sincero, un amico “esplosivo”, un amico con cui ho condiviso gli anni migliori della mia vita, quelli autentici, spensierati, formativi, magici, indimenticabili, folli. Cominciamo a frequentarci, abbiamo in comune anche i nostri impegni universitari, io a Filosofia e lui a Magistero; cominciamo a progettare le nostre storie di vita, le nostre esperienze, le nostre incursioni nella notte fiorentina, cominciamo ad uscire ad ore impossibili frequentando i posti più borderline di questa città, con la sua macchina sempre ricolma di libri, oggetti improponibili, vettovaglie, fotografie, dischi, abiti, cartine per sigarette, riviste musicali. Nell’agosto 1974 partiamo per il Marocco. Derno riesce a trovare un Ford Transit nella sua Sansepolcro. Siamo un gruppo di amici ed amiche, molto affiatato, passiamo dalla Francia, ci fermiamo in Provenza poi la costa spagnola, Valencia, arriviamo a Algeciras e passiamo in Marocco, ecco Tangeri, la città della Beat Generation. Alla guida c’è sempre Derno, infaticabile, notte e giorno, sempre allegro, canta in continuazione; spesso ci procura scherzi geniali ed invenzioni galattiche e noi ci caschiamo come polli. In Marocco ci fermiamo a Ketama, la regione dove si produce kiff e hashish per tutto il mondo, due giorni in una fattoria con tanti amici contadini che comunicano con Derno in maniera impeccabile, non so come faccia, non conosce l’arabo ma si intendono a meraviglia. Il tour in Marocco è fatto di tante avventure; ci fermiamo per una settimana a Djabet, un piccolo villaggio di pescatori,vicino la città di Essaouirà, sembra che negli anni sessanta sia venuto spesso in vacanza Jimi Hendrix. Con Derno lunghe passeggiate sulla spiaggia guardando in continuazione uomini muscolosi ed abbronzati, ci intendiamo al volo, abbiamo gli stessi gusti ed a volte litighiamo anche. Derno è sempre con la sua macchina fotografica, sua compagna fedele in tutti i nostri viaggi. Sempre nel 1975 partiamo per andare al Festival del Proletariato Giovanile a Milano, Parco Lambro, l’appuntamento con la rivista Re Nudo, concerti, incontri, musiche, teatro, meditazione, tarocchi, astrologie cosmiche. Dopo il viaggio in Marocco con Derno ci perdiamo per tanti anni, lui continua le sue escursioni in Africa ed in India, Ci ritroviamo negli anni ottanta, scocca la scintilla, ricominciamo a frequentarci e a consumare voracemente le notti “carnivore” del Rinascimento Rock fiorentino, frequentiamo i Litfiba, Diaframma, Rinf, Magazzini Criminali, Parco Butterfly, partecipiamo a set fotografici al Manila ed al Tenax, andiamo a vedere concerti come Virgin Prunes, New Order, Mark Almond, Boy George. Partecipiamo ed organizziamo insieme le feste di Frigidaire, la rivista più “barricadera” del momento, Derno collabora con la redazione e pubblica numerosi servizi fotografici. Arrivano gli anni novanta, molto spesso andiamo a fare week end a Lido Di Classe, nel Ravennate, una delle spiagge più gay in Italia, lunghe passeggiate in pineta, fughe da temporali improvvisi e risate spettacolari, cantiamo, parliamo, comunichiamo nei nostri continui e numerosi viaggi. Nel Maggio 1992 verso Torino, mostra dei “Ritratti Fiorentini” nella città piemontese, tutti vogliono farsi fotografare da Derno, tutti vogliono essere immortalati dall’artista toscano. Nell’agosto 1994 andiamo in Austria a vedere i Rolling Stones in concerto, centomila persone che acclamano la band inglese, ho un ricordo indimenticabile di Derno, balla dall’inizio alla fine, vuole andare nel backstage per conoscere i componenti storici della band ma non ci fanno passare, rientriamo in Italia fermandoci in continuazione in piazzole dell’autostrada a conoscere camionisti nerboruti ed incazzati. Derno organizza tante mostre a Firenze, ritratti, nudi, animali, architetture cimiteriali. Questi eventi diventano sempre bagni di folla, amici, amiche, giornalisti, musicisti, attori, attrici, compagnie teatrali, architetti, stilisti, video-maker, la “fauna d’Arte” decantata da Pier Vittorio Tondelli. La sua casa in Santo Spirito e poi in via Guelfa diventano salotti mondani, cene indimenticabili, incontri bellissimi. Derno ci comunica la sua imminente partenza per l’Egitto, si trasferisce al Cairo, rimango interdetto, sono triste, mi manca un grande riferimento, mi mancano le telefonate notturne per raccontarci le nostre storie quotidiane. Lo rivedrò tante volte a Firenze come in occasione della mostra al centro Ireos per una edizione del Florence Queer Festival 2006, poi altre volte, poi il buio, la tristezza, l’abbandono. Mi manca tantissimo, mi manca la sua energia intellettuale, mi mancano i suoi sorrisi, mi manca la sua forza, mi manca un grande amico.
Un vecchio Curriculum di Derno
Derno
Era un giorno come tanti e fissai con Derno un appuntamento nel suo piccolo appartamento fiorentino per degli scatti che mi sarebbero serviti per il mio profilo in un catalogo nazionale di giornalisti impegnati nel raccontare la moda.
Avevo all’epoca capelli molto corti e volevo costringere Derno a farmi un paio di foto che mi ritraessero nel modo più veritiero possibile. Cosa che solo lui poteva fare perché sapeva bene come ero davvero.
Quando arrivai da lui lo trovai al tavolo dove lavorava sommerso da foto e attrezzature varie, stava ascoltando musica e per un po’ siamo rimasti a chiacchierare, a raccontarci le ultime in libertà.
Non ricordo chi cominciò per primo, ma poco dopo ci trovammo a ballare del tutto scatenati sotto le note di quella fantastica musica rock. E non fu un balletto di dieci minuti, in pratica ballammo tutta la sera divertendoci come due quindicenni pieni di energia da spandere intorno.
Ballavamo e ridevamo, Derno rideva con quella sua risata contagiosa e rassicurante, una risata che era come una carezza, come una prova di coraggio e di speranza.
Era sempre stato cosi con lui, si partiva seriosi e magari tristi o stanchi e si finiva leggeri, ci trovavamo sempre davanti ad un assurdo, era assurdo prendersela, era molto più semplice mangiare un bel piatto di spaghetti, bere un buon vino e ridere…di tutto.
Facemmo così anche quel giorno, le foto furono rimandate ad un’altra occasione e ricordo che poi vennero benissimo.
Oggi non c’è vicino a me una persona, un amico, un’amica, qualcuno che mi faccia sentire al posto giusto come mi succedeva con Derno.
Betty Barsantini, giornalista
Filosofia e Storia contemporanea, Pisa
Dal 1980 al 2013 giornalista della RAI Radiotelevisione Italiana, Redazione di Firenze
Ivan Teobaldelli
Scrittore e giornalista pubblicista, nel 1982 Ivan Teobaldelli ha fondato, insieme a Felix Cossolo, il mensile Babilonia, che ha diretto dal 1983 al 1995[1].
Nel 1996 dirige la galleria Il Pozzo di Città di Castello e cura per quattro anni la rassegna Cinema sotto le stelle nell’ambito del Festival delle Nazioni. Partecipa dal 1996, per 10 anni, alla rievocazione storica della Donazione della Santa Spina di Montone con la regia di spettacoli in costume. Per il teatro di Montone scrive e dirige gli spettacoli Veglia a casa Bagarello (2006), Le mille e una notte (2007) e Dos tristes tigres (2009).
Autore di numerosi testi di critica d’arte, nel 2007 e 2008 cura la rassegna tifernate d’arte contemporanea applicata Wunderkammer, a Palazzo Vitelli Sant’Egidio, Città di Castello.
Nell’ambito del Festival delle Nazioni di Musica da Camera di Città di Castello cura per l’edizione 2014 lo spettacolo Il volo della colomba, nel 2015 lo spettacolo Austria (in) Felix e nel 2016 Sul treno dei Fratelli Lumière, con musiche originali eseguite al piano da Daniele Furlati[2].
Dal 2001 collabora regolarmente con il mensile L’Altrapagina[3] con reportage, recensioni d’arte e note di costume.
Ivan Teobaldelli vive e lavora a Città di Castello.
Omaggio al fotografo Derno Ricci
È la mattina del 20 ottobre, un risveglio come tanti. Apro per abitudine Facebook e trovo un messaggio che mi gela il sangue. Non riesco neanche a finirlo. La vista mi balla. È di Massimo Spinetta e dice: oggi 19 ottobre alle 16.45 si è spento il caro Derno all’ospedale di Careggi… Ma che scherzo da idioti è questo? Mi precipito sul sito di Derno e un tappeto straziante di post che lo piangono ha già riempito due pagine. Questo mi racconta Carmine….. E il mio pensiero corre alla scelta della foto di lui a cavallo che avventurosamente apre il suo sito, con un autoritratto fulminante di otto parole:« son nato toscano, vivo in egitto e son contento». Tutto minuscolo. Superbo understatement.
…………
Per tutto il giorno non mi stacco da Facebook. Continuano ad arrivare centinaia di messaggi increduli e sbigottiti. Dernino, Dernone, Spirito Libero, Eterno Farabutto, Hermano Querido, Habibi…. Quant’è stato amato quest’uomo. E per la prima volta do un senso anche a un mezzo come Facebook. Mi aveva stupito l’impegno che Derno gli dedicava, un’applicazione costante che faceva irritare Reafat e che era arrivata persino alla creazione di un Fans Club personale. Mi sembrava esagerata. La controprova è sotto gli occhi. Nel giro di poche ore, oltre ai messaggi istantanei e globali, appaiono poesie, foto e video sconosciuti. ……….
Consolavano invece gli abbracci energici di Annamaria, la sua voce ferma e rassicurante. Mi confessa l’ultimo desiderio del fratello. Voleva che le sue ceneri fossero disperse in parte nel Nilo e in parte nel deserto. Era un modo per ritornare nei luoghi amati. Ma neanche a pensarlo con la burocrazia italiana. È un’autorizzazione impossibile.
In attesa della cremazione, l’affetto e la nostalgia allargano cerchi. Ci sono amici che non si rivedono da tempo, c’è chi per la prima volta dà volto a un nome sentito tante volte dalle labbra di Derno. È lui il magnete che unisce tutti. «L’eredità che ci lascia è questo riverbero d’amicizia». Sembra scritto proprio per lui questo pensiero di Norberto Bobbio. Non c’è angoscia nei visi né l’insopportabile deformazione che il dolore spesso provoca. C’è solo la voglia di stringersi e consolarsi. E la cosa più buffa è che in mezzo a quella radunata manchi proprio Dernone. Ognuno s’aspetta di vederlo apparire da un momento all’altro, nel suo svolazzo di sciarpe e veli. Intanto ha smesso di piovere e s’aprono squarci tra le nuvole. È arrivato il momento della cremazione e i becchini infilano la bara nel forno. Solo pochi secondi di combustione e dal camino vediamo uscire uno sbuffo bianco. C’è chi giura d’aver sentito salire in cielo la risata inconfondibile di Derno.
……….
Un uomo pieno di grazia
Non parlerò di Derno fotografo. Il suo sguardo originale e inquieto ha già prodotto un’opera consegnata alla storia della fotografia. Mi limiterò a raccontare della persona. E tra i tanti post messi su Facebook, estraggo questo: un uomo pieno di grazia.
La grazia di Derno – la sua innata eleganza nei rapporti – era una strana combinazione di ritrosia contadina e di spavaldo anticonformismo che gli veniva dai viaggi. Era uno spirito erratico ma aveva la capacità d’abbracciare il mondo, di stare a suo agio con l’intellettuale e il proletario, col sublime e il volgare. Racconto due situazioni. Una volta siamo andati al mercato di Ataba. È il mercato delle pulci più povero che abbia mai visto, dove ci sono anche venditori di un solo esemplare di merce: una radio a transistor, un paio di ciabatte, un vecchio ferro da stiro. Ci siamo arrivati col microbus dopo un esagerato sbracciarsi sulla strada in mezzo a un capannello di gente che berciava i nomi delle destinazioni. Noi urlavamo “Ataba! Ataba!” e il primo mezzo che aveva rallentato era quello giusto. Ma devi saltarci dentro al volo e infilarti tra i passeggeri come in una scatola di sardine. Poi dài gli spiccioli della corsa a chi ti sta davanti e, mano dopo mano, arrivavano all’autista. Naturalmente di europei nei microbus neanche l’ombra. Il pretesto per andare a Ataba era che Derno cercava due casse per il computer. Abbiamo acquistato di tutto ma non il necessario. E lo spettacolo surreale era Derno che avanzava nel mercato, salutato per nome da tutti i commercianti, avvolto in uno scialle bianco come un Papa benedicente. Gli acquisti erano un gioco. Compriamo da un piccolo sarto tignoso, dopo sfibrante contrattazione, due gilet di raso avorio, elegantissimi, e una maglietta per il piccolo Mohamed che ha perso la madre in un incendio domestico. Nella via delle papeteries cerchiamo invano i vecchi quaderni arabi scolastici. Al loro posto, biglietti d’auguri che si aprono spalancando bouquet di rose o mettono in moto un carillon. Tutti rigorosamente made in China. Poi nella via dei fanuz, le belle lampade del Ramadan di latta riciclata. Facciamo la sosta per il tè nella bottega d’un artigiano, conoscente di Derno. Lui e il figlio hanno occhi verde-smeraldo che ipnotizzano. E infatti Derno gli comprerà un’ingombrante cesta di vimini e, incontrato casualmente un tassista amico, Tarèk, ci facciamo accompagnare all’Horreya, che è una delle bettole più vecchie del Cairo, dove gustiamo un ottimo panino di shawarma (pollo e arancia). Mentre attorno a noi muratori nubiani giocano rumorosamente a tawla (back-gammon), i vecchi fumano la shisha e gruppi di studenti tracannano (è un’eccezione per i caffè del Cairo) boccali di birra.
L’altro episodio è di tutt’altro segno e si svolge nella sfarzosa dimora d’un mio amico francese. Sono stato suo ospite per l’intera vacanza e la sera prima della mia partenza ha organizzato una festa molto branché. La casa è nel quartiere blindato delle ambasciate, Zamalek, accanto alla villa di un importante ministro del governo. La festa si svolge in terrazza, in una specie di giungla tropicale illuminata, con tavole imbandite di cibo, liquori e uno stuolo di camerieri. C’è tutta la comunità francese del Cairo, una consorteria notoriamente blasé: addetti dell’Ambasciata, dirigenti dell’Istituto culturale, giornalisti di Radio France. Derno è in splendida forma e lo vedo parlare fitto con un fotografo della Gamma e proporre alla responsabile dell’ufficio-stampa dell’Ambasciata – una donna molto elegante ma quasi cieca – una mostra dei suoi scatti in b/n sugli animali. Arriva anche un giovane fotografo egiziano, reputato “una promessa”, con abbarbicata addosso una bionda magrolina e riderella che sembra una clone di Patty Pravo. Derno e io non resistiamo e a mo’ di serenata le dedichiamo “Ragazzo triste”. Riscuotiamo un applauso divertito.
Intanto in un angolo, in mezzo a un crocicchio di belle ragazze, un brillante dentista egiziano, atletico e barbuto, sforna canne di ottimo pakitano. Derno scompare dalla vista e lo ritrovo solo alla fine della festa, con gli ospiti che si congedano, sprofondato nel sonno su un sofà. È sicuramente lì da ore. Ha un’aria tra l’infantile e il birbante, e a nessuno passa per la mente di svegliarlo. Riposa bene, amico mio!
Il lavoro dello stampatore fine art consiste nel dare una forma alle immagini che gli autori ti affidano. Contrariamente a quanto si pensa la fotografia non è un medium bidimensionale, ma nella sua forma compiuta cioè la stampa, essa diventa un’opera tridimensionale dove la matericità del supporto diventa parte integrante dell’immagine stessa.
Stampare i negativi di Derno è stata un’operazione molto delicata per via della lontananza fisica dell’autore ma al contempo emozionante perchè attraverso la guida della sorella abbiamo imparato a conoscerlo. Più vedevamo i suoi negativi e più ci facevamo un’idea precisa del suo modo di vedere e rappresentare la realtà. Nelle foto di Derno la semplicità e l’estetica dominano ma non stemperano l’intensa sensibilità e ricerca che contraddistinguono questo autore.
Conoscere una persona attraverso la sua visione e il racconto dei suoi cari è un’esperienza estremamente intima poiché la riuscita delle stampe si arricchisce di un importantissimo carico emotivo.
Per dare nuovamente vita alle immagini di Derno abbiamo deciso di ristamparle ai sali di argento così da mantenere presente il legame del suo bianco e nero analogico con la camera oscura tradizionale. I negativi sono stati acquisiti col nostro scanner a tamburo per ricavarne il massimo delle informazioni tonali. I files a altissima risoluzione sono poi stati stampati su carta Ilford Barita ai Sali di Argento con un ingranditore digitale LAMBDA.
Ne sono risultate stampe senza tempo che ci hanno resi orgogliosi del nostro lavoro poiché siamo riusciti a rendere nuovamente tangibili e reali le visioni di Derno.
Center Chrome Fine Art Lab
Laboratorio fotografico professionale: Stampa Fine Art, Digigraphie e Lambda. Lightbox, Montaggi e Allestimenti museali. Calenzano – Firenze.
Fabio Bersani
Operatore di ripresa RAI, ha lavorato con Derno dal 1996.
Quanto mi manca il mio amico Derno! Mi manca la sua risata, le sue battute sarcastiche e i suoi sfottò quando parlavamo delle partite di pallone. Ci siamo conosciuti vicino a Bologna, quando iniziai la mia avventura lavorativa su Linea Verde. La produzione era impegnativa, ci occupava tutto il giorno lavorando sotto pressione e di corsa con solo una piccola pausa per un panino mangiato al volo (spesso durante i trasferimenti), ma ricordo già da subito la leggerezza e la piacevolezza della sua risata. Da quel momento in poi, per parecchi anni, la sua allegria e i suoi ironici commenti mi hanno accompagnato quasi ogni giorno, anche nei momenti molto difficili. In quel periodo i trasferimenti erano lunghissimi, ma quando c’era Derno in macchina era quasi una festa. Oddio, era convinto di essere una rock star mancata ma in realtà era stonatissimo e se alla radio trasmettevano una canzone dei Rolling Stones era finita, si metteva ad urlare a squarciagola le sue canzoni preferite storpiandole con intonazioni improbabili e così finiva mestamente “cazziato” dagli altri colleghi che viaggiavano con lui. Era divertente scherzare con lui anche quando era la vittima sacrificale. La compagna di viaggio di Derno era la sua fedele borsa in pelle scura, logora e pesante. Ci teneva dentro le sue macchine fotografiche e le sue ottiche, tutta la sua vita. Sul set Derno era costretto a correre per fare i suoi scatti prima di nascondersi dalle telecamere, e tutte queste corse le doveva fare con la suddetta borsa a tracolla che per scherzo, spesso, riempivamo di sassi di nascosto appena lui la appoggiava a terra e ridevamo come dei matti nel vedere la sua reazione quando di corsa doveva caricarsi la borsa in spalla. La mia posizione sul set era sempre la più lontana e Derno, una volta fatte le sue foto, veniva di fianco a me e se succedeva un guaio sul set ci facevamo delle grosse risate, e quante ce ne siamo fatte!!! Quando in macchina eravamo Io, lui e Beniamino le risate e gli sfottò non mancavano mai.
Anche per tutto questo ricordo il mio amico Derno, per tutti i momenti divertenti anche quando c’era ben poco da ridere.
Poi Linea Verde non ha avuto più bisogno di lui, e dopo un po’ ha smesso di amare la sua città e il suo stato e si è trasferito in Egitto, dove ha trovato la serenità e anche l’amore. Ci sentivamo ugualmente, ovviamente più di rado, ma sempre con la stessa voglia di ridere e scherzare. Poi è arrivata la malattia. Non volevo neanche pensarci, sognavo che fosse qualcosa di momentaneo e che prima o poi sarebbe tornato il Derno di sempre. Sono andato all’inaugurazione di una sua mostra e lo vidi spento, rallentato come se le batterie che alimentavano il suo grosso fisico fossero vicino all’esaurimento, ma quel momento fu superato e Derno ritornò quello di prima. Nel frattempo, la tecnologia avanzò al punto di riuscire a premetterci di rimanere in contatto quotidianamente, anche se non era come viaggiare in macchina con lui che storpiava I Can’t Get No Satisfation strillando seduto sui sedili posteriori della jeep. Il nostro mondo è finito con una brutta e indesiderata telefonata. Derno stava molto male e grazie all’intercezione di un amico italiano al Cairo erano riusciti a farlo tornare in Italia, nella sua Firenze. Non aspettai molto prima di decidere di andare a trovarlo per stargli vicino, e quando arrivai all’ospedale lo vidi con il volto scavato e gli occhi sbarrati che mi guardavano… parlavano loro per lui che non riusciva più a dirmi neanche ciao. Gli strinsi la mano, gli diedi un bacio in fronte e me ne andai piangendo. Morì qualche ora più tardi. In molti del vecchio gruppo ci trovammo a salutarlo per l’ultima volta insieme a tante altre persone meravigliose che lo avevano tanto amato. Dopo averti detto di nuovo ciao, siamo andati a pranzo, ci siamo seduti a tavola tutti insieme e c’eri anche tu, c’era la tua risata per l’ultima volta nelle nostre orecchie prima di rimanere impressa per sempre nel profondo dei nostri cuori.